La grande retrospettiva in corso al Castello Estense di Ferrara è stato lo spunto per una chiacchierata con Maurizio Bottoni, che ci ha accolto con grande cordialità nel suo studio milanese per parlare della mostra, allargando poi il discorso a considerazioni di fondo sull’Arte, ma anche a gustosi e rivelatori aneddoti, che rendono l’intervista estremamente godibile, oltre che interessante sotto vari aspetti.
La mostra, che continua fino al 26 dicembre 2024 (e forse oltre), è stata curata da Vittorio Sgarbi ed è davvero imperdibile per qualità e densità: sessanta opere pittoriche su tavola, di vario formato e suddivise per temi lungo lo sviluppo delle sei sale al piano nobile del castello, che danno una chiara sintesi di mezzo secolo di ricerca dell’artista, dagli anni ’70 fino ad oggi, con un elegante e sobrio commento nelle infografiche di allestimento.
I conoscitori che amano la grande pittura quasi certamente non si saranno fatti finora sfuggire l’occasione di poter vedere riunite tutte insieme opere appartenenti a varie collezioni di tutta europa e prestate per la durata della mostra, oltre a quelle di proprietà dell’autore.
Ma chi ancora non conosce a sufficienza il lavoro di Bottoni – che dopo le primissime esperienze con l’Arte Povera, ha abbracciato con decisione e coerenza un linguaggio pittorico indagatore, meticoloso e lenticolare – potrà osservare da vicino una selezione di opere nei cui dettagli, superfici, lavorazioni, e aspetti simbolici si ritrova la tradizione alta di quell’Arte che si eleva oltre il tempo storico in cui nasce.
Le opere di Bottoni vanno tassativamente osservate dal vero, perché per le caratteristiche realizzative del manufatto artistico, nessuna riproduzione fotografica o video può dare anche lontanamente idea dell’effetto che esse producono sul sistema percettivo dell’osservatore che si pone dinanzi ad esse a distanza ravvicinata.
Le immagini qui pubblicate delle opere realizzate su molteplici lastre di vetro con diversi piani visivi in successione, da quello anteriore ben visibile, fino all’ultimo che quasi scompare nell’oscurità, ci sono state gentilmente fornite dall’artista al fine di restituire fotograficamente al meglio l’aspetto dei manufatti, ma non possono comunque rendere il senso di mistero visivo che essi comunicano se visti dal vero.
Una sensazione dove risuona quella di chi si inoltra a piedi nella penombra di un bosco reale, nel quale brulica la vita di quella natura che l’artista ha eletto a suo campo di indagine e ispirazione.
“La forza creatrice della natura vince l’istinto distruttore dell’uomo”
JULES VERNE
Ma anche nelle altre tipologie e temi delle opere in mostra, come la serie degli animali, dei vegetali, degli insetti, dei paesaggi, delle vanitas e dei fondi oro, il fatto che essi siano frutto di processi di lavorazione artistica che stratificano materiali specifici, in fasi codificate da secoli, poi dimenticate e quindi recuperate all’uso con nuova vita, rende insostituibile l’esperienza dell’osservazione diretta dei manufatti.
I cartigli, dei quali l’artista ci chiarisce nell’intervista in quale funzione li impieghi, sono praticamente immancabili nelle vanitas, dove i teschi che prendono quindi a comunicare con lo spettatore, introducono una nota di ironia, sottile eppure dirompente, in un filone dove precedentemente il monito esistenziale, raffinato ma austero era il solo padrone della rappresentazione.
Ma anche gli animali spesso parlano, soprattutto nelle tavole di grande formato dove essi si pongono quasi nella loro dimensione reale, e nei piccoli cartigli comunicano a chi li guarda considerazioni di stampo inequivocabilmente filosofico, ad insinuare il sospetto in chi li ha finora considerati solo utilitaristicamente, che “c’è dell’altro, a ben vedere”.
Se persino un maiale nella sua ontologica presenza dipinta, ponendosi di fronte allo spettatore e permettendogli di porre attenzione in quello che altrimenti verrebbe trascurato, lascia intendere in quanto “autore” del biglietto attaccato al muro che sta considerando noi umani e valutando il modo in cui ci siamo comportati con lui, ecco che – suggerisce sottovoce ancora una volta l’artista – la questione è molto, molto più grande di quanto appaia a prima vista.