ti scrivo su indicazione di un amico pictor optimus;
spero non ti dispiaccia il tono colloquiale che mi viene da usare nel proporti una riflessione che, messi in parentesi i critici con o senza asterischi, cercherà semplicemente di raccontare qualcosa che non interessa direttamente la pittura ma ha a che fare in prima battuta con la poesia. Ovviamente si è liberi di pensare qualsiasi cosa della poesia; per quanto mi riguarda la considero aurorale per l’uomo, la lingua, le arti nel loro insieme. Credo che quel che mi limiterò a raccontare – perché tra quelli che insegnano e quelli che raccontano mi colloco tra i secondi – possa dare un certo aiuto a tutti noi che siamo evidentemente coinvolti in una crisi, una transizione o come altro vogliamo chiamarla. Racconterò qualcosa che riguarda due poeti, l’uno ormai consacrato e pure monumentalizzato, che ci ha lasciato da tempo ma che, a mio parere, ha ancora qualcosa da dirci di decisivo. L’altro meno conosciuto dai non addetti ai lavori, vivente, che però può essere considerato uno dei massimi poeti contemporanei. Si tratta rispettivamente di Charles Baudelaire e del poeta tedesco Durs Grunbein. Ma prima di procedere vorrei dire che preferisco al concetto di “contemporaneità” che risulta criticabile (Ops! rispunta la critica?) a mio parere giustamente, come si rileva dalle tue pagine, il concetto di “inattualità”. Non sono interessato a inseguire l’attualità e la contemporaneità: sono più interessato all’”inattuale”, che mi consente di non invischiarmi nella sola cronaca, vale a dire di non incartarmi nel giornale del mattino e di scartarmi dall’attualità – vogliamo dire una mossa del cavallo? Come esempio di inattualità credo di potermi riferire proprio a Baudelaire.
Ma entriamo in argomento. Conosciamo tutti (? Purtroppo ho incontrato persone di buona cultura che non conoscevano Goethe, la precarietà delle certezze è diventata una nota costante, una specie di basso continuo della nostra vita) oppure supponiamo che tutti sappiamo qual è il capolavoro di Baudelaire, I fiori del male – l’incertezza qui diventa immediatamente un’esperienza, perché mi è capitato recentemente di ascoltare in televisione qualcuno che ha avuto un ruolo in politica e che, interrogato sulle sue preferenze letterarie, ha nominato Baudelaire ma, quando gli è stata chiesta una sua poesia, ha risposto senza vergogna: Madame Bovary. Dati per noti I fiori del male, vorrei semplicemente dire qualcosa sulla prima poesia di questa grande opera, che è poi una lettera al lettore, introduttiva: Au lecteur, che il traduttore della mia edizione, a sua volta poeta, traduce semplicemente con Prefazione (ma io preferisco la traduzione letterale Al lettore). Questa poesia rivolta direttamente al lettore, è la porta d’ingresso dell’opera. Vorrei dire semplicemente qualcosa in proposito e soprattutto sull’ultima strofa, chiusa da uno dei versi più celebri di Baudelaire: “- ipocrita lettore – mio simile, – mio fratello!”. Dopo aver compilato una lista puntigliosa e pignola dei nostri vizi, viltà, schiavitù, soggezione a Satana Trismegisto che da chimico sapiente vaporizza il ricco metallo della nostra volontà, nelle ultime quartine il Poeta ci mostra il peggiore dei mostri che ci tengono prigionieri, “..è la Noia! – con l’occhio appesantito da un pianto involontario,/va sognando patiboli mentre fuma la sua/houka, Tu lo conosci, o lettore, questo mostro deli-/cato, – ipocrita lettore, – mio simile, – mio fratello!”. A distanza di parecchi anni dalla loro composizione non solo questi versi non hanno perso nulla della loro forza ma piuttosto ci offrono la chiave per una vera decifrazione del nostro presente, quella impossibile a partire da considerazioni legate all’attualità. La Noia è un mostro delicato che ingoierebbe il mondo in uno sbadiglio. La Noia non era il titolo di un romanzo celebre di una stagione importante delle nostre lettere? E la Nausea non era il titolo di un romanzo che rese quasi popolare quel che si chiamava una volta “esistenzial-ismo”? cose che i lettori con-temporanei nemmeno ricordano per motivi cronologici. Dal 1857 la chiave di lettura dei nostri tempi resta lì, offerta come ingresso ai Fiori del male. Come se non fosse mai avvenuto; noi siamo infatti gli adepti addirittura di un culto della Noia, che nel così detto politicamente corretto istituisce una nuova religione – la religione dello sbadiglio. Bene. Tra gli infiniti diritti rivendicati oggi senza nessun dovere, ce n’è uno, non rivendicato da nessuno, per me fondamentale e fondante: il diritto a non annoiarsi. Il meno proclamato, il meno frequentato, il meno esplicitato di tutti i diritti – pensare che non è neanche nominato nella costituzione più bella del mondo.
Per uscire dal labirinto, ci basterebbe un solo gesto: il rifiuto della Noia – che del resto si accorda col diritto di andarsene, proclamato sempre dal Poeta. Tre quarti dell’arte che si proclama moderno-contemporanea sono noia – no, non ho detto gioia, ho detto noia: da Baudelaire a Califano.
Ma c’è anche una parte costruttiva, anzi ri-costruttiva – dopo la de-costruzione, se non odiamo la logica, dovrebbe infatti venire la ri-costruzione (il compito che incombe) – che possiamo vedere quasi fotograficamente nella vita di un nostro contemporaneo, il poeta di Dresda Durs Grunbein, nato nel 1962 e catturato dalla poesia già prima della caduta del Muro. Si tratta del massimo poeta tedesco vivente e di uno dei maggiori poeti contemporanei. Racconta che la conferma – in qualche modo la cresima – della sua vocazione poetica avvenne visitando Ercolano qualche anno dopo il crollo dell’URSS. Nei resti di una villa congelata dall’eruzione del Vesuvio, Grunbein si trova di fronte a un frammento di un libro di Filodemo di Gadara, “summa della poetologia antica”. Ritrova intatta la poesia sotto la lava pietrificata dell’eruzione, conservata intatta da una “memoria immemore” che gli fa percepire il rombo del tempo della storia. Se la poesia giovanile di Grunbein poteva essere classificata come “decostruttiva”, dopo questa esperienza di vulcano e poesia, essa diventa ri-costruttiva in senso letterale, al punto da condurlo a una ricostruzione non solo della metrica in generale ma p.es. dell’esametro latino. Credo che questo tipo di esperienza possa essere considerata paradigmatica per qualsiasi forma di arte. Spero di non averti annoiato e di aver dato un minimo contributo.
Rodolfo Granafei
La risposta della redazione Caro Rodolfo grazie della tua lettera, che pubblichiamo ritenendola un utile spunto di riflessione per tutti i nostri affezionati lettori. I due poeti che indichi, incarnano in effetti fasi salienti di un processo di mutamento profondo della società che è rilevabile impiegando il sentimento della "Noia" come cartina tornasole. E da questa prospettiva il parallelo con la distruzione che il vulcano fece di Pompei ed Ercolano, vista dagli occhi di un poeta contemporaneo come uno iato dopo il quale finalmente si può tornare a ricostruire - dapprima l'interiorità dei singoli e quindi la forma stessa del corpo sociale nonché delle sue manifestazioni materiali - i luoghi della civiltà, è corretta e suggestiva. Siamo stati in questi ultimi decenni, e siamo ancora nel momento presente, sotto la cenere e i lapilli di una eruzione che, non più fisica come per Pompei - che venne bloccata in un istante eterno nel momento del suo massimo, raffinato e già decadente splendore - è psicologica, emotiva e sociale, ma ugualmente e forse anche più distruttiva di quella antica. Crediamo che la spinta a "ri-costruire", che una anima vigile come quella di un grande poeta vede prima degli altri, mentre ancora le ultime fasi della distruzione imperversano, sia una esortazione quanto mai importante. E che lo sia proprio nel momento presente, e particolarmente nell'ambito delle Arti, che sono il primo e il maggiore indicatore delle fasi che una civiltà attraversa. Anche per questo motivo - per radunare gli strumenti e i riferimenti di valore che deve avere chi si appresta a costruire qualcosa che è stato distrutto - è nata questa rivista, che già aveva intravisto la necessità di voltare pagina nelle Arti, essendosi chiuso inesorabilmente un ciclo storico, benché in pochi fossero e siano tuttora disposti ad ammetterlo pubblicamente. Quindi siamo in linea su questa visione della Storia, e ci auguriamo che altri giungano a conclusioni simili, poiché in tutti i momenti in cui una civiltà raduna le forze per iniziare una fase nuova, il contributo di ognuno è la risorsa più preziosa e decisiva.