"Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all'assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell'uguaglianza, che dispensa l'ignorante di istruirsi, l'imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sulla uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell'appiattimento. L'adorazione delle apparenze si paga." Frammenti di diario intimo, Henri-Frédéric Amiel
L’uso di copiare o citare i grandi capolavori non è nuovo, tuttavia con l’imporsi della cultura di massa questo è diventato un abuso. Le opere d’arte, non più appannaggio di gruppi ristretti, bensì immolate alla fruizione del turismo di massa, si prestano a riproduzioni, imitazioni, citazioni e parodie, fino al kitsch più sguaiato.
Come già ci aveva spiegato W.Benjamin quasi un secolo fa, queste riproduzioni
favorite dalle tecnologie fanno si che l’opera perda la sua aura, smetta di essere un capolavoro venerabile ma distante per diventare un’immagine vicina e familiare.
Questi procedimenti ineffettuali riguardano soprattutto le opere del Rinascimento, in particolare i capolavori di Michelangelo. Innumerevoli le copie del David in giro per il mondo, ma è rivisitato anche da artisti moderni e contemporanei: Arno Breker, Peter Feldmann, l’immancabile Banksy, ecc.
Ovviamente molto presente anche nella pubblicità, pensiamo ad una famosa campagna pubblicitaria Levis.
Cosa c’è dunque di meglio per rappresentare l’Italia all’expo di Dubai che presentare l’ennesima copia del David ?! Lo scopo dichiarato, ça va sans dire, è quello di promuovere il patrimonio artistico italiano ed attrarre turisti nel nostro paese. Insomma siamo ancora fermi al souvenir d’Italie… le buone cose di pessimo gusto, come direbbe Gozzano.
Vabbè che queste expo sono tutte un trionfo del kitsch, con tutti questi magazzini di lusso, ogni paese il suo padiglione, ma tanto valeva allora fare una riproduzione di Venezia come ce n’è a Las Vegas, a Macau, a Disneyworld!
E invece s’è preferito un bel padiglione con sopra il tetto tre scafi rovesciati, verde-bianco-rosso, che francamente fanno tanta tristezza; ricorda un po’ le installazioni di F.Plessi. E in questo bel habitat narrativo ci hanno piazzato l’action figure del David formato 1:1, creato con una stampante 3D utilizzando plastica riciclata di tante bottiglie d’acqua (che ci piacciono tanto!).
Costo circa 300.000 euro; però hanno avuto la compiacenza di ricoprirlo con una pelle di polvere di marmo per farlo sembrare tal quale l’originale, del resto la sprezzatura era tenuta in gran conto nel Rinascimento.
Ma siam pur sempre negli Emirati Arabi e non si può certo mostrare al pubblico sguardo le nudità del bel giovanotto scolpito da Michelangelo. Non ci avevano pensato? Ma ecco il genio italico: hanno piazzato il gemello di plastica in un buco tra due piani del padiglione in modo che la soletta che li separa renda difficile la visione delle pudenda incriminate. Un capolavoro!
Questa collocazione, così pia e scellerata, come direbbe Ovidio, mi ha riportato alla mente, con una certa inquietudine, la sequenza iniziale del film Alien: Covenant di Ridley Scott. In fondo un certo brivido di transumanesimo corre fra i padiglioni di questa expo a Dubai, il cui tema è: “Connecting minds, creating the future”.
Per inciso, gli Emirati Arabi Uniti sono l’unico paese al mondo ad avere un ministro per l’intelligenza artificiale. Non a caso ci si è affrettati a definirlo un David 2.0, sottinteso che trattasi di un’opera d’arte in sé.
Aggirato quindi il problema dell’ hic et nunc su cui W.Benjamin fondava il suo concetto di aura. L’ hic et nunc viene recuperato con l’atmosfera, come direbbe G.Bohme, le cui teorizzazioni pare proprio abbiano ispirato tutto il padiglione italiano. L’opera si trasforma in evento e l’attenzione va al contesto e alla relazione col fruitore.
Ma se l’aura aveva in sé qualcosa di sacro, con queste operazioni mediatiche la sacralità stessa dell’arte si vaporizza. Ormai di sacro c’è rimasta solo la prostituzione della realtà; che quindi, da laida meretrice, si dà il trucco pesante, in un tripudio di esteticità diffusa dove ciò che conta è l’apparenza.
Ecco dunque l’estenuante esibizione del reale e dei suoi prodotti, fino all’impossibilità di distinguere ciò che è realmente effettivo e ciò che è solo una rappresentazione.
E per chiudere il cerchio, la tecnologia, nel ruolo di lenone, non è più semplicemente riproduttiva bensì generativa.
Sempre a proposito di Michelangelo, è notizia di questi giorni la realizzazione di una versione digitale del Tondo Doni, venduta per 240.000 euro. La ditta che ha realizzato questa serigrafia digitale autenticata da Blockchain si è premurata di far sapere che non si tratta di una copia bensì di un originale in digitale: DAW Digital Art Work.
L’arte «cerca, come tutte le forme che spariscono, di raddoppiarsi nella simulazione, ma presto sparirà completamente lasciando il posto all’immenso museo artificiale e alla pubblicità scatenata». La sparizione dell’arte, J. Baudrillard
Insomma la festa continua nell’iperrealtà, siamo tutti invitati…
Lino Dagnello