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Artista come professione: Quale ruolo sociale

  • 17 Maggio 2021
  • Jervé
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Nella mente della maggior parte degli artisti alberga un fatale equivoco. Che falsa in modo profondo e ricco di vaste conseguenze la visione che hanno di sé e del proprio ruolo nella comunità in cui vivono.

Potremmo dire che quelli tra loro che in merito hanno una posizione equilibrata non sono molti, e in prospettiva hanno il ruolo di apripista per i tempi a venire, di futuro riferimento per tutta la comunità artistica.

Potremmo dividere coloro che si dedicano all’Arte in modo continuativo, per passione e professione, in due macrofamiglie:

  1. gli Idealisti protesi verso l’ispirazione
  2. i Realisti protesi verso la realizzazione

All’interno delle due macrocategorie, che tra loro non si parlano, distinguiamo vari gradi di successo.

Idealisti

Tra gli idealisti, vi è chi ha raggiunto, parzialmente o del tutto, il proprio obiettivo. In quel caso abbiamo come risultato opere di grande forza espressiva, emozionanti, spiazzanti, che cambiano la percezione e quindi la vita del pubblico che ne viene a contatto. Il successo materiale ed economico si può accompagnare ad esse, solo nel caso siano stati assistiti da qualcuno che ne ha curato la promozione.

È bello amare molte cose, perché qui sta la vera forza, e chiunque ama molto, fa molto e può realizzare molto, e ciò che si fa in amore è ben fatto.

Vincent Van Gogh

In assenza di attività promozionale si manifesta l’effetto Van Gogh, il quale pur grandemente ispirato, per tutta la sua vita faticò a vendere un’opera.

Lo spezzone della serie dr.Who “van gogh al museo”

Tra gli idealisti coloro che non hanno raggiunto il loro obiettivo sono una folla enorme. Ricchi di buone intenzioni, spesso ispirati e di alto livello etico, si aspettano inconsciamente che in virtù di questo le realtà esterna si accorga di loro.

Sono i grandi insoddisfatti. Dentro di loro un serbatoio di valore immenso per la società, che rimane per lo più inutilizzato perché il modello socioeconomico attualmente in voga non ha in agenda di trasformare l’uomo della strada in artista di elevata cultura, per evidenti ed immaginabili motivi di governo.

E d’altra parte ciascuno di questi insoddisfatti, concentrate le proprie energie unicamente nella parte riflessiva e creativa, non si spinge a togliersi le vesti del realizzatore di contenuti artistici per indossare quelle del comunicatore, promotore, imprenditore. Spesso lamentandosi poi perché non trova sbocchi degni alle sue opere frutto di lunghi sforzi.

Tra gli artisti idealisti ci sono anche coloro che non hanno coltivato estensivamente le competenze tecniche, non hanno svezzato e fatto maturare il proprio talento, non hanno meditato la propria poetica e, in sintesi, non hanno fatto tesoro delle proprie esperienze di vita per distillare nelle proprie opere qualcosa che sia di qualche beneficio per la vita dei propri simili.

Ma seguendo l’ispirazione in modo episodico, giungono ad un risultato artistico che appunto episodico rimane. E tuttavia hanno l’inconfessato desiderio di venire riconosciuti allo stesso modo di artisti strutturati. Ovvio dire che costoro saranno ancora più insoddisfatti degli idealisti di spessore.

Andy wharhol nella “factory” con due suoi assistenti

Realisti

Quelli che hanno raggiunto il successo sono coloro che a partire da un proprio indubitabile talento di base, hanno impostato la propria attività in modo imprenditoriale, considerandola ne più ne meno che quella di una azienda che offre il proprio prodotto/servizio sul mercato. Una azienda che gestisce un Brand – la firma dell’Artista – e delega attività complementari ad assistenti, collaboratori, o addirittura esternalizza processi produttivi, e si affida ad una serie di soggetti per la promozione del proprio brand, stringendo accordi, partnership e altro con i vari attori che compongono l’odierno sistema dell’arte.

Che il risultato di questa macchina produttiva, ossia l’insieme delle Opere di quella firma abbia un impatto emotivo sul pubblico tale da cambiare la vita delle persone, è del tutto aleatorio. Può capitare in alcuni casi, ma certo non costantemente. Produrre opere in grande numero di esemplari è una scelta di campo totalmente diversa da produrne intenzionalmente poche. Lo stesso divario che passa tra un ristorante di nicchia con 30 coperti e la catena internazionale Hard Rock Café.

Le poche, preziosissime opere di Vermeer

Si tratta di una differenza che non ha a che fare con il nostro tempo, è riscontrabile anche in altre epoche. Prendiamo il caso di due artisti di una stessa area geografica e culturale e di medesimo linguaggio artistico, il barocco, ossia i pittori Joannes Van der Meer e Peter Paul Rubens. Del primo esistono in tutto 36 opere, per lo più di piccolo formato e pare che in tutta la sua vita non ne abbia prodotto più di 60.

Di lui si sa che si unì in matrimonio con una donna la cui famiglia era più agiata della sua, che ebbe quattordici figli e la madre della moglie, ricca vedova che viveva con loro, lo sostenne finanziariamente mentre cercava di imporsi nel mondo dell’Arte. Insomma un tranquillo padre di famiglia, senza problemi di fine mese, che poteva far brillare il suo genio in magici dipinti realizzati con tutta la cura e lentezza necessarie.

Peter Paul Rubens – Maria de medici sbarca a Marsiglia

Del secondo, oltre ai dipinti e ai cicli di tele delle grandi commissioni, tra disegni, cartoni e bozzetti, esistono centinaia di opere. Esaminando uno a caso di questi grandi dipinti commissionati, la reazione che abbiamo è di meraviglia, per il talento virtuosistico del maestro nel creare composizioni complesse, e la sua capacità di organizzare con criteri industriali una bottega efficiente al fine di poter sfornare un grande numero di opere enormi e di qualità sempre altissima.

Eppure il Rubens che più muove emozioni – diverse dalla meraviglia e che davvero possono cambiare la vita – è quello delle opere più intimiste, come ad esempio questo struggente disegno a tre pastelli del volto di suo figlio Nicholas: pochi magistrali tratti che delineano le sembianze di un bimbo della cui bellezza il padre amorevolmente si beava, onorandola ed eternandola al contempo con la sua Arte.

Peter paul rubens – ritratto del figlio Nicholas

Tutto questo per dire che possiamo girarci intorno in ogni modo, ma le opere che muovono maggiormente emozioni nello spettatore sono quelle nella cui realizzazione l’artista è coinvolto in prima persona ed è in uno stato libero da pressioni che in qualche misura stravolgano il suo intento espressivo originario.

Ruolo sociale

In questi casi, e alle condizioni che abbiamo delineato, si può produrre un effetto straordinario che attiene al ruolo dell’Artista nella comunità in cui vive.

Quello, indispensabile quanto l’aria che tutti respiriamo, di fornire linfa creativa alla collettività ed al tessuto sociale, che si può tradurre in una serie di conseguenze virtuose anche in ambiti diversi da quello artistico.

L’Artista ha il ruolo di intercettare il futuro prima degli altri, di rendere più ricco, bello ed armonioso il mondo con le sue opere, di trasformare evolutivamente l’esistente ed ispirare altri a farlo, di mantenere la civiltà in cui vive in contatto con le leggi universali e, in ultima istanza, di ricordare a chi la dimentica l’essenza della specie umana.

Troppa importanza ad un ruolo che per la massa delle persone è una sorta di lusso accessorio? “Prima il pane, e poi – forse – le cose belle”…

cloudy hallway – Photo © toa heftiba – unsplash

No, quello sintetizzato qui è solo una piccola parte di quanto ogni artista è bene si senta tenuto a fare, perché abbia una corretta coscienza di sé e si ponga nel giusto atteggiamento, al contempo umile ma sicuro e risoluto, con i propri simili.

Se infatti immaginassimo una comunità di esseri umani nella quale l’Arte in ogni sua forma e manifestazione venga bandita, ebbene essa si estinguerebbe nello spazio di un mattino.

È infatti così stretta la connessione tra l’Arte e la condizione stessa della specie umana, che ogni attività attraverso la quale individui – che non si considerano artisti – trasformano ogni giorno la propria realtà è paradossalmente influenzata da processi ideativi tipici della creazione artistica.

Conclusioni

Ecco perché particolarmente in questa epoca agli Artisti spetta una responsabilità forse ancora maggiore che in altri momenti.

Ossia quella di considerare sempre tutti gli eventi in un quadro più ampio di tempo e di spazio, di raffinare sempre di più la propria integrità morale e la propria ricerca di verità, di operare sempre tassativamente per un vantaggio comune anziché per un facile beneficio individuale.

Ancora, quella di immaginare il mondo come una realtà plasmabile e migliorabile in ogni caso, anche quando tutto dovesse insistentemente apparire immutabile.

In poche parole, assumersi l’onere di essere la coscienza del proprio tempo e della propria civiltà proprio nel momento in cui molti altri abdicano da questo impegno per tutti valido.

new earth © cliff mcReynolds

E parlare, soprattutto attraverso le proprie opere, ma anche con il linguaggio della Comunicazione al quale il pubblico è avvezzo. Evitare di delegare questa parte, che sebbene impegnativa, è quanto mai utile a che non avvengano distorsioni e strumentalizzazioni.

Durante la creazione, l’Arte non mente mai. Ed è bene preservare ad ogni costo il patrimonio di Verità che l’opera porta con sé. Perché nei tempi a venire tutti noi ne avremo un estremo bisogno.

Jervé
Jervé, nato Gustavo, Alberto Palumbo, artista, designer, architetto, formatore, blogger,…

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