Di Lucia Pallotta
Il pensiero unico, idee e modi di fare che arrivano ovunque… Internet ha avuto la straordinaria capacità di avvicinarci, nel tempo e nello spazio, ma questo ha portato anche a conseguenze che forse non ci aspettavamo.
Nella mia pratica professionale è abitudine consolidata spendere una buona parte del tempo nella ricerca. Questo vuol dire che dopo aver preso nota dei bisogni e desideri del cliente, la mia attenzione va in due direzioni: innanzitutto studio la situazione fisica in cui il mio progetto dovrà concretizzarsi, in altre parole un’osservazione attenta del luogo e dei movimenti di chi dovrà vivere quel nuovo spazio.
Subito dopo, quasi parallelamente, cerco le forme giuste ed i materiali e tecnologie migliori per realizzarle: in questo mi lascio normalmente ispirare da tutto quello che vedo intorno a me, dai libri e dalle riviste, ultimamente in maniera importante dalle immagini che trovo sul web.
Nel corso di uno di questi studi, dopo aver osservato un numero consistente di architetture recenti, mi sono resa conto che avevano un filo conduttore comune, edifici realizzati in luoghi molto distanti fra loro, anche adibiti a diverse funzioni, erano definiti da forme molto simili e costruiti con gli stessi materiali.
Chi ha studiato architettura sa bene che uno degli aspetti fondamentali è la capacità di saper leggere il costruito, ovvero tutto ciò che è stato modificato o creato ex novo dall’uomo. Viviamo in luoghi in cui la sua presenza è predominante, per cui quasi tutto quello che vediamo ha subito una trasformazione. Anche quel paesaggio che definiamo naturale ha ben poco di primitivo.
Leggere la modellazione di un territorio mi permette di conoscere le scelte che la società che ci abita ha fatto nel corso del tempo. Non dimentichiamo che l’architettura è la più funzionale tra tutte le arti ed in quanto tale è condizionata in maniera pesante dal luogo in cui si radica, a partire dai materiali disponibili, per vicinanza o facilità di lavorazione, dal clima e dalla conformazione orografica. Il discorso stilistico o le scelte estetiche sono fortemente condizionate da problemi pratici.
Mi sto riferendo a tutto ciò che è stato progettato e costruito prima della globalizzazione. Mi hanno insegnato infatti a descrivere un palazzo o una costruzione qualsiasi semplicemente osservandone la forma ed i materiali usati per costruirla. Potrei anche parlare delle abitudini e della cultura di una popolazione, del clima in cui vive, guardando le scelte che ha fatto nella organizzazione della sua città. Un’osservazione attenta ci svela mille indizi di soluzioni scaturite da problemi di tipo pratico o da tradizioni costruttive che si impongono con forza.
L’architettura inoltre è un’arte materica, parla attraverso i materiali, si parte da lì. Quando ancora non era semplice trasportarli si costruiva con ciò che si trovava in natura nel luogo o nei pressi di dove si doveva lavorare. Pietra, legno, laterizio, si cambiava con il cambio di terreno, altitudine o clima. Le tradizioni costruttive si fondavano sui materiali che si avevano a disposizione sul territorio. Anche estrapolando il fabbricato dal suo contesto era possibile riconoscerne la provenienza, geografica innanzitutto ma anche culturale. Il diverso era previsto, cercato e scontato. Parlando per estremi, nessuno si aspettava di vedere un maso al mare o una palafitta in montagna.
La globalizzazione ha profondamente cambiato l’approccio al progetto in architettura, con il risultato che ora posso trovare costruzioni simili in montagna, città, mare o campagna. In Europa come in Asia, Stati Uniti o Australia, le architetture contemporanee parlano generalmente la stessa lingua e possono tranquillamente utilizzare gli stessi materiali. Impossibile capirne la storia o la provenienza senza avere altre informazioni, serve sempre una spiegazione al progetto.
L’arte madre è l’architettura. Senza una nostra architettura non abbiamo l’anima della nostra stessa civiltà
Frank Lloyd Wright
Come tutte le operazioni di omogeneizzazione, il primo risultato è una perdita. Diversità significa varietà, arricchimento. Tanti linguaggi portano altrettanti significati, tante culture che raccontano qualcosa di unico, varietà di esperienze e competenze. Avere a disposizione una grande varietà di espressioni significa poter disporre di tante soluzioni per diversi problemi, risultati particolari per specifiche problematiche.
Ora il linguaggio è uno e per tutti, e la cultura sta andando nella stessa direzione. In questo modo però non c’è scambio, ci si impoverisce, si parla tutti allo stesso modo e degli stessi argomenti. Ci troviamo di fronte ad un appiattimento generale. La globalizzazione vuole spingerci ad accogliere una sola risposta ai tanti problemi, la stessa deve andare bene a tutti, ed il risultato è di una noia mortale e mortifera. Le abitazioni, gli uffici, le scuole, gli spazi, parlano tutti lo stesso linguaggio, con gli stessi materiali, le stesse forme, identici contenuti. La ricerca progettuale è vista come uno sfizio di pochi nostalgici, mentre la tendenza è quella di puntare ad un franchising di forme e materiali alla moda.
Le città di oggi cambiano i modi di essere e di fare, le forme si spingono verso una somiglianza generalizzata, perdendo così le specificità che le caratterizzava. È la messa in atto, più o meno consapevole, di una omologazione che non può funzionare, perché la varietà implica una complessità che necessariamente deve trovare molte risposte, mentre i falsi bisogni verranno smascherati da risultati non performanti e non appartenenti a chi li deve vivere e abitare.
L’architettura, come tutte le forme artistiche, parla con un suo linguaggio, racconta storie ai presenti e le lascia a chi verrà dopo, dà un suo contributo storico rispetto al vissuto. Ho idea che l’eredità che stiamo lasciando è quella di un periodo storico di passaggio: abbiamo in mano uno strumento dalle grandi potenzialità, internet, ma forse lo stiamo usando male. Dovremmo imparare a gestirlo andando verso altre direzioni.
Probabilmente ritrovandoci all’improvviso così vicini si è cercato un linguaggio comune nel tentativo di capirsi, ma facciamo attenzione ad abbandonare le differenze reciproche, le quali – teniamolo sempre a mente – ci arricchiscono l’un l’altro, ci aiutano a crescere e ad andare avanti.
Quindi teniamoci lo strumento ma, senza dimenticare chi siamo e cosa vogliamo dire, impariamo ad usarlo in modo tale da garantire semmai una diffusione più rapida e più capillare dei risultati originali a cui approderemo.
Lucia Pallotta – Architetto