Nella nostra cultura già da tempo la maggioranza vive di “solo pane” e ritiene inutile ciò che si chiama Arte. Da qui la profonda decadenza in cui si versa e dalla quale non si riesce, per mancanza di strumenti mentali adeguati, a risollevarsi e a concepire pensieri e azioni che risveglino le nostre brevi esistenze dal profondo torpore in cui sono cadute.
L’inerzia in cui vivono i più non invita a conquistare nuovi orizzonti: ci si adagia su ciò che si pensa di conoscere, con risultati spesso deludenti e che derivano dallo scimmiottare proposte già collaudate e archiviate.
Bisogna riconoscere che la nostra illusione, prigioniera di un sapere meccanico, non oltrepassa i dati primari della nostra percezione e con questa inferenza si crede di conoscere le qualità di un prodotto visivo, ma le nostre conclusioni spesso risultano sbagliate. Il giusto percorso percettivo evita la logica naturalistica, agevola l’immaginazione, promuove l’indagine interiore e conserva il modo di costruire la natura tramite i segni simbolici.
Per superare delle fasi, che di norma non conosciamo, dobbiamo arrivare all’essenza della nostra percezione per “vedere” il mondo circostante e non semplicemente “guardarlo” con i limiti della nostra osservazione.
Dal mio punto di vista, solo con l’assidua pratica e devozione è possibile avvicinarsi al mistero che celano le forme, il processo che invita a superare il principio ottico-fisico e le sensazioni che favoriscono le dimensioni nascoste.
Un autentico capolavoro non dice tutto.
Albert Camus
Purtroppo dobbiamo riconoscere e considerare che la nostra arida mentalità, privata dall’idea di servire “l’altro” si lascia plagiare dal sistema tecnologico e dal mercato con l’illusione di conquistare il settimo cielo.
Chi è impegnato in questa logica non può avere un sano controllo bio-psicologico e navigherà sempre nel labirinto degli intrighi con l’impossibilità di realizzare dei lavori positivi e utili per entrare in comunione con le origini della nobile tradizione che guida l’essere verso la conoscenza.
Naturalmente riconosciamo che tutti i ragionamenti hanno delle premesse e una conclusione e la conclusione segue dalle premesse attraverso l’applicazione di un punto di vista comune. Per la nostra scelta, sappiamo benissimo che dove c’è ragionamento c’è possibilità d’errore.
Nel campo dell’arte gli “errori” sostenuti dai promotori che hanno caratterizzato la produzione visiva del nostro recente passato sono state delle vere illusioni.
Se oggi il linguaggio pittorico vuole evitare il bazar e le illusioni della rappresentazione soggettiva del sistema ottico-visivo l’unica alternativa – a mio avviso, – è quella di poter rappresentare, tramite il visibile, l’invisibile.
In questa esperienza, la ricerca dovrà avere la pretesa di essere la “trasmissione oggettiva della rivelazione”, un canone che dovrà essere comune a tutti gli autori.
In questo percorso gli autori dovrebbero evitare l’artificio della prospettiva lineare utilizzata per la poetica naturalistica dello spazio. E la pittura, invece di avere come obiettivo un’imitazione della realtà, dovrebbe tentare di superare l’inautentico per rivelare e rappresentare ciò che è essenziale.