di Lucia Pallotta
Il presente si manifesta nella progettazione di qualsiasi cosa.
Quando parliamo di architettura ci troviamo a fare i conti con un processo che va dal pensiero, l’idea, l’ideazione, alla sua concreta realizzazione. Questo percorso dura inevitabilmente un lungo periodo di tempo, cosicché la rappresentazione del presente che c’è all’inizio non esiste più alla fine, si è trasformata nella rappresentazione che nel presente si ha del futuro. Posso affermare che l’architettura del presente esiste e si materializza nel futuro. Quando l’opera è compiuta parla inevitabilmente del passato, nei casi più fortunati di un passato prossimo, più spesso di un passato abbastanza remoto.
Infatti i cambiamenti e le evoluzioni nei modi di fare architettura sono molto lenti e graduali.
Questo lento movimento è ancora più accentuato dal contrasto con la rapidità del tempo di reazione che viviamo oggi con Internet. La rete relazionale si è spostata dalla città reale, dalle piazze e strade vere, alla virtualità di un mondo fatto di immagini e parole scritte velocemente. Si dice ‘in tempo reale’, mentre bisognerebbe dire ‘in tempo virtuale’, perché quello reale è più lento, più umano direi.
L’architettura del presente non esiste, perché essa è fatta di tempi lenti, dall’idea al progetto alla costruzione, abbiamo detto, passano anni, c’è tanta storia dentro, occasioni mancate, ripensamenti in itinere, strade prese al volo per un pensiero improvviso. È mondo reale.
Possiamo parlare di architettura del presente, grazie o a causa dei progressi informatici, riferendoci al disegno digitale. Grande attenzione viene data alla riproduzione grafica tridimensionale, al fotoinserimento, al quasi vero. Gli stessi addetti ai lavori a volte faticano a riconoscere un disegno da una foto reale di progetto, tanti sono i passi fatti in questa direzione. Ma la realizzazione fisica di quei disegni? La riproduzione reale dov’è? Episodi sparsi si può dire. Il grosso rimane sulla carta, anzi, all’interno di un computer.
“La differenza tra una buona e una cattiva architettura è il tempo che ci dedichi”
David Chipperfield
Faticoso e complicatissimo realizzare quelle architetture virtuali, per i tempi ristretti richiesti dai committenti e la burocrazia dall’altra parte lentissima, per le tecnologie sofisticate che richiedono competenze molto specialistiche e materiali costosi. Spesso inoltre il reale si rivela una delusione rispetto al virtuale, non ha gli stessi strumenti e linguaggi, non fa lo stesso effetto potrei dire, non si può misurare alla pari.
L’architettura è un’arte, ma dal forte connotato funzionale. Nasce ed è pensata – o almeno dovrebbe – in funzione delle persone che la vivranno o che solo la attraverseranno. Il suo scopo, in generale, è quello di organizzare lo spazio, in particolare di organizzare quello in cui vive l’essere umano. Ha un pesante lato reale, materico direi. Non si guarda o ascolta, come succede per altre arti, ma si vive e la si usa tutti i giorni o sporadicamente. È tridimensionale, ma nel senso materiale del termine.
Se vogliamo parlare di architettura del presente dobbiamo scartare l’ipotesi di una architettura reale, perché la sua realizzazione fisica ha bisogno di attesa, quello che la gente oggi non è più disposta a sopportare e gestire: i tempi lunghi del mestiere, il lavoro, la fatica, i compromessi, gli errori, i rimedi. Si crede in un passaggio istantaneo dal disegno all’oggetto, così come è abituata a fare per ottenere un bene di consumo. Si vede, si ordina, si compra e si materializza davanti ai propri occhi. Ma l’architettura non può essere pensata come un bene di consumo, non si materializza in un istante digitando su uno smartphone o su un PC. Essa ha bisogno dei suoi tempi, perché è un linguaggio, ha bisogno di confrontarsi e anche di stratificare.
L’architetto ha bisogno di capire profondamente lo spazio che deve modellare e intervenire verificando passo dopo passo di aver preso la strada giusta, magari modificando in corso d’opera quello che non si era valutato bene sulla carta, aggiustando ciò che magari non si è potuto più costruire con un certo materiale. Perché i contrattempi, i cambi di passo, il non previsto sono paragonabili a quelli che accadono ogni giorno ad ognuno di noi, ciò che non si può prevedere a priori.
L’architettura del presente non esiste semplicemente perché la sua natura presuppone un lungo processo che comprende il passato e il futuro.
di Lucia Pallotta