Qualche anno fa, precisamente nel 2016, in collaborazione tra la banca olandese ING, Microsoft, TU Delft, Mauritshuis e Rembrandthuis venne realizzato un progetto chiamato “The Next Rembrandt”.
Bas Korsten, il pubblicitario che ideò l’operazione, così la introdusse: «Perché non possiamo distillare il Dna artistico di un pittore estraendolo dalle sue opere e creandone una nuova partendo da quelle infomazioni?».
La sfida ideale quindi fu di dimostrare se utilizzando l’Intelligenza Artificiale, l’elaborazione grafica di Big Data, le più avanzate tecnologie di produzione di immagini materiche, si potesse raggiungere l’obiettivo.
Insomma un nuovo Rembrandt, in tutto e per tutto paragonabile alle altre sue opere esistenti, ma postumo. A cioè tre secoli e mezzo di distanza dalla morte del maestro.
L’operazione ebbe una notevole risonanza e all’epoca ebbe reazioni per lo più di interesse e di favore, dal momento che se ne intravidero molteplici conseguenze positive applicabili in vari ambiti.
Cose come: “Vengono sfumati i confini tra arte e tecnologia”, e simili… Ma scorriamo una breve sintesi per capire meglio in quali fasi si è articolato il progetto.
1 – Raccolta ed elaborazione di Big Data
La prima cosa da fare fu scansionare ad altissima risoluzione le opere esistenti di Rembrandt, in modo da avere la “componentistica grafica” da elaborare. Anche la tessitura superficiale 3d dei dipinti, con lo spessore materico delle pennellate, fu registrato e catalogato. Vennero suddivise in parti somatiche e accessorie tutte le rappresentazioni, occhi, naso, bocca, indumenti…
2 – Scelta del soggetto
Durante la sua carriera artistica Rembrandt dipinse un gran numero di ritratti ed autoritratti. Che fisionomia scegliere per il “nuovo” dipinto? Maschile o femminile? vecchio o giovane? Vestito in che modo? Dati in pasto alla A.I. demografia e fisionomia, alla fine il “vincitore” è risultato un personaggio di sesso maschile, età media, baffi, pizzetto, vestito di nero con cappello, e gorgiera bianca ricamata.
3 – Definizione delle sembianze
L’ assemblaggio di lineamenti del personaggio ritratto è stato effettuato secondo il tipico procedere del maestro, le sue proporzioni, il prodigioso trattamento della luce. La postura e l’espressione del volto risultante da tale assemblaggio si è ottenuta utilizzando in modo creativo un software di riconoscimento facciale.
4 – Realizzazione dell’artefatto
Utilizzando su una mappa di altezze gli algoritmi di disposizione materica delle pennellate in funzione della fisionomia del personaggio ritratto, ricavata interpolando i soggetti necessari alla selezione, una stampante 3d superficiale ha depositato in ripetuti passaggi sulla tela uno strato di materiale “pittorico” disposto in modo che l’orientamento delle pennellate fosse coerente con le forme rappresentate.
Esposizione al pubblico
Eccolo quindi il risultato dell’operazione, finito, verniciato, posto in una cornice adeguata ed esposto al giudizio degli appassionati.
Con l’understatement di toni smorzati che lo stile museale fiammingo impiega per dare enfasi ai propri capolavori, il Rembrandt postumo affronta il paragone con le opere scaturite dal pennello del maestro. Per la cronaca il “dipinto” è stato acquistato dallo sponsor ING ed annesso alla sua collezione.
E tuttavia in mezzo al fascino intellettuale del progetto, alla dovizia di tecnologie impiegate, alla prestigiosa supervisione accademica, una nota di sottile e strisciante dissonanza ha colpito sin da subito la comprensione degli spettatori più attenti.
Cercando in rete riguardo al tema, che porta letteralmente alle estreme conseguenze quanto Walter Benjamin magistralmente scrisse nel suo fondamentale saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, si notano commenti di varia intonazione, ma a distanza di anni vale la pena chiedersi soprattutto A CHE PRO si è voluta organizzare una dimostrazione del genere?
Forse si è trattato solo di pubblicità, e il tutto si ferma lì. Però una parte della gente col tempo potrebbe convincersi che la tecnologia sia in grado di replicare la capacità artistica umana. E quindi idealmente accettare come realistica la superiorità della macchina. Una certa narrativa di divulgazione spinge su questo tasto.
Ebbene, in questa sede e col distacco di alcuni anni di osservazione dall’evento è opportuno mettere in chiaro alcuni punti fermi, affinché non vengano persi riferimenti di giudizio che per l’Arte sono fondamentali.
- Il risultato di questo progetto è un simulacro che non ha alcuna delle prerogative di una opera proveniente da gestualità umana. Simula cioè la “pelle fisica” di un dipinto con materiali che sono simili ma non uguali. Tantomeno ne ha la parte metafisica: ciò che una opera comunica al di fuori del semplice dato visivo. Nella materia è infatti condensata la memoria dei gesti che sono stati necessari per portarla a quella forma. E chi ha la necessaria sensibilità, quasi percepisce nell’opera finita tutto ciò che l’artista ha fatto per compierla.
- Non esiste nulla di autenticamente nuovo nel manufatto, solo perché non rispecchia sembianze che appartengono ad alcuno dei ritratti esistenti. Si tratta infatti solo di un collage elettronico più interpolato, in definitiva. Il soggetto ritratto non è mai esistito, non ha provato emozioni, non ha incontrato l’artista, non lo ha ispirato, nel bene e nel male, a creare una opera in un determinato modo. Numeri, percentuali, dati statistici. Di questo è composto l’artefatto.
- L’essere umano è ricco di quelle fenomenologie che la statistica definisce “difetti”. E che proprio per la loro non linearità rispetto ad una norma statistica sono i presupposti indispensabili per le decisioni inattese che portano con sé la novità e l’invenzione, e quindi la fascinazione propria dell’Arte. Almeno per ora questo ambito è al di fuori dei radar della prevedibilità algoritmica.
Pertanto, volendo concludere con qualcosa che gli artisti intenderebbero al volo: “Abbiamo scherzato, torniamo al lavoro sulle cose serie, che c’è ancora tanto da fare…”