Il problema cruciale della nostra epoca è l’umano, essere che la cultura “umanistica” secolarizzata ha sistemato in un vicolo cieco.
Varie rivoluzioni scientifiche e tecniche pongono attualmente il mondo davanti alla domanda: come preservare la specie umana?
Il progresso scientifico e tecnico è finalizzato al bene umano, alla liberazione della sua energia creativa, e consegue in questi campi risultati finora impensabili.
Ma, in questo mondo in cui la scienza e la tecnica registrano uno sviluppo vertiginoso, in cui le ideologie contemporanee sono anch’esse orientate al bene e al progresso dell’umanità, quotidianamente si osserva paradossalmente a un’irresistibile tendenza alla barbarie tanto esteriore che interiore: invece di una spiritualizzazione della vita animale dell’umano si sta verificando un imbestialimento del suo spirito.
In questo percorso l’umano diventa uno strumento di produzione consumistica e il suo valore fondamentale non consiste più nella sua persona ma, nella sua funzione relativa agli interessi del sistema. Dobbiamo riconoscere che la vita quotidiana dell’essere umano è dominata da falsità e surrogati, da una frammentazione che corrompe tutti gli ambiti della vita. Ne consegue una perdita dell’equilibrio psichico che spera in una ricerca di “paradisi artificiali” fin dentro la droga.
Sostanzialmente l’umanità che osserviamo e che costituiamo è un’umanità decadente. Lo è innanzitutto in ciascuno di noi… siamo “con la testa in giù” e non abbiamo più un centro che ricomponga l’unità. Divisi nel nostro ego, lo siamo anche tra noi. Bisogna ammettere che la cultura dell’umanesimo ha ripudiato la somiglianza con il suo archetipo, non ha accettato l’impegno di conquistare il senso della verità rivelata nel corpo umiliato “dell’UOMO”.
In questo mondo, tutto “sotto sopra”, si incontrano due orientamenti totalmente differenti riguardo all’umano e alla sua creatività: l’antropocentrismo dell’umanesimo secolarizzato e areligioso e l’antropocentrismo cristiano. Tra i due schieramenti si innesta il pensiero degli orientali che con il loro contributo culturale indicano un percorso di ricerca che scava nel nostro io con l’intenzione di raggiungere la coscienza della grazia. Questa esperienza non ha nulla di straordinario ma è naturalmente un modo per cercare e scoprire il regno dello spirito.
Essere umanista significa comportarsi in modo decente senza aspettarsi ricompense o punizioni dopo la morte.
Kurt Vonnegut
Nell’area del lavoro artistico, lo sviluppo di una poetica diversa, contraria alla mentalità “del mondo” nella quale siamo immersi fin dai primi anni della nostra vita e che molti si illudono che sia l’unica dimensione per soddisfare i propri desideri estetici, certamente non può che essere una conquista per evitare le incongruenze che frenano il desiderio di cambiamento.
Il nostro compito, se intende contribuire ad un comportamento meno condizionato dagli interessi di mercato, deve evitare il senso dell’io e del tu. Una vera ricerca che non si confonda con il desiderio dell’avere, deve impegnarsi a scoprire la profondità dell’essere, a percepire che non c’è nessuno io, ma, solo la pace del silenzio può indicare la natura del nostro traguardo. L’unica dimensione si trova nella piena conoscenza di se stessi e nell’incontro con “l’UOMO”.
Naturalmente tutto dipende dalla volontà di procedere sulla via della saggezza che migliorerà il proprio stato di benessere. Cercare il senso nel nostro profondo è la rotta per navigare senza vincoli nell’assoluto, esattamente il contrario di una conoscenza solo fisica e rumorosa. Pratica che proviene dai Padri della nostra tradizione i quali invitano alla meditazione e contemplazione, discipline che curano la nostra vita disordinata e poco costruttiva.